dei tre giorni in ospedale ricordo marco, che era lì per il mio stesso motivo. ricordo che ha lavorato dieci anni in una fabbrica di amianto, che si è beccato l'enfisema polmonare e che ha due bambine piccole che nominava sempre. ricordo che con marco andavo a fumare di nascosto in terrazzo, che aveva i valori sballati e non lo volevano mandare a casa. ricordo l'
interminabile soffitto del corridoio
attraversato standomene sdraiato sul letto, nudo, guidato da un'infermiera
grassissima. tubi, cavi, neon. tubi, cavi, neon. tubi, cavi, neon. in una sequenza che avevo visto in mille film. anche se in quei film mi importava poco della
destinazione di quel letto. ricordo l'anestesista che mi dice "questo cocktail che ti preparo adesso ti piacerà". la maschera dell'ossigeno. "ti piace?". rispondo qualcosa. vedo delle teste in controluce. scherzano. sto bene. benissimo. batto le ciglia e vedo qualcuno agitare una provetta con qualcosa dentro. una specie di sasso. "francesco, ha visto com'era grosso?". penso: "è già tutto finito? sono stati veloci". un'ora racchiusa in un battito di ciglia. fantastico. poi due giorni di dolori lancinanti,
antidolorifici e dolori ancora più tremendi. come avere un rastrello nello stomaco. un rastrello, del filo spinato, chiodi, spilli e un gremlin che ci balla sopra. ogni colpo di tosse una tortura. ogni risata un pentimento. chiedo
continuamente flebo per stare meglio. l'infermiere della mattina è uno in gamba. mi asseconda sempre. l'infermiera della sera non credo si sia mai sottoposta a un'intervento e dosa gli
antidolorifici come fossero decisioni della
bce sulla crisi economica. sorride. non c'è un cazzo da sorridere. opta sempre per due ridicole compresse di
tachipirina da 500mg. non mi fanno un cazzo di niente. aspetto che sia mattina per ritrovare il mio
pusher preferito. è uno che
risolverebbe la crisi economica con l'
impiccagione di tutti i banchieri occidentali. attacca quelle
meravigliose flebo e mi strizza l'occhio.
oggi torno a casa. sbatto il piede contro la porta e vedo le stelle. l'alluce si gonfia. non si muove. torno in ospedale. radiografie. "vede? non c'è niente di rotto. è gonfio per la botta. ci metta del ghiaccio". me ne torno a casa ancora più dolorante di prima. ma che ho fatto di così tremendo nella vita passata?
akab mi risponde: "l'autore di fumetti. poco ma sicuro. di peggio c'è solo il poliziotto".
vorrei poter uscire a fare delle foto.
questa l'ho scattata la settimana scorsa. mi piace.
questa sempre una settimana fa. ma mi ricorda una serata in cui credo di aver fatto un'enorme cazzata. per certi versi
irrimediabile. vorrei potesse svanire con un battito di ciglia.
mmm...
macché. non funziona.